La poesia spirituale dei dervisci rotanti

La poesia spirituale dei dervisci rotanti

Per molti i dervisci rotanti sono qualcosa di sconosciuto. Altri li collegano alla spiritualità orientale, e si fanno bastare l’ascriverli a questa categoria. Per me è stato un sogno che si realizza poterli vedere l’altra sera, al teatro Pirandello. Per anni, da quando ho iniziato ad interessarmi all’Islam e al sufismo, ho sognato di assistere alla cerimonia del sema’ ad Instabul, e non immaginavo proprio che lo avrei prima fatto nella mia città, Agrigento. Nell’ambito della 71esima Sagra del Mandorlo in fiore, sono arrivati in città gli Hezarfen Sanat, direttamente da Istanbul.
Ogni parola è riduttiva per descrivere quello che ho visto.
L’ispirazione, la tensione spirituale, la gioia che avevo respirato leggendo i versi di Rumi e altri poeti sufi, mi si sono mostrati tangibili nei gesti di questi mistici (che definire monaci è sbagliato e riduttivo, dato che nell’Islam non esiste il monachesimo) , nel loro salmodiare. Ascoltare dal vivo la basmala (“In nome di Dio, il Compassionevole, il Misericordioso”) e versi del Corano è un’esperienza potente, toccante e viva, almeno quanto la vita stessa. Quando la musica del ney, dei tamburi, si interrompe, è esattamente in quel momento che capisci, con chiarezza ed intensità, come la musica del Corano -viva in quel salmodiare- è qualcosa che va oltre la musica stessa, musicalità che va oltre la musica, il ritmo stesso del cosmo, condensato -semplicemente, eloquentemente- in quell’Hu (“Egli”), pronunciato alla fine della cerimonia.

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Una foto dal teatro

 
E ricalcato sul solco del cosmo -e contemporaneamente oltre il cosmo- è il rito del Sema’, che racconta dell’uomo, di Dio (Allah non è altro che -semplicemente- Dio in arabo), della vita e dell’oltre-vita.
Il sufismo è la corrente mistica dell’Islam. È il mezzo con cui l’uomo guarda dentro se stesso e combatte (in una jihad -che significa sforzo) contro le tendenze distruttive e negative presenti in lui, per far riemergere la sua parte migliore, e vivere nel segno di essa. Il Sema’ simboleggia, con grazia e arte, la caduta dell’uomo nella materia e il suo ritorno al mondo con consapevolezza e luce, dopo essersi immerso nel mare di Dio.

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I poeti sufi fanno un largo uso delle immagini e simbologie legate al mare e all’acqua. Le stesse sono presenti nel Corano stesso, in immagini di sorprendente e ineguagliabile bellezza e carica poetica. Sarà forse per questo che, ad un certo punto, quando i dervisci hanno iniziato a girare, mi è sembrato di sentire, per qualche minuto, un profumo di mare, arrivare da un punto imprecisato.

“…Non ti ho detto
che io sono il mare
e tu sei il pesce piccolo…”
(Rumi)

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Quel roteare, dopo essersi liberati del drappo nero, simbolo dell’ignoranza e della materia, mi ha parlato anche della gioia della vita. Quella che si trova nell’incontro con Dio e in Dio.
Mi sono accorta di essere ricorsa più volte all’avverbio “semplicemente”, scrivendo queste riflessioni. Per me l’Islam è qualcosa di semplice. Intenso e semplice, perché le cose luminose sono sempre semplici, nella loro essenza. Una religione che dice che Dio è Uno, è essenziale, è semplice. Lo stesso Dio ha ispirato Gesù e Maometto. Lo stesso Dio ha ispirato tutte le religioni, e l’Islam è l’unica che lo dice. Una religione che racconta di un venire al mondo senza peccato originale, ma con una naturale disposizione al divino (fitra) da recuperare (da qui la necessità sufi di “pulire lo specchio del cuore”), possiede una purezza e armonia primordiale.
Spero che, attraverso la danza mistica dei dervisci, che ha il potere di affascinare tanti con la sua bellezza e particolarità, quante più persone possibili possano comprendere che il vero Islam non è terrorismo.